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Versetto al-Anfal

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Il Versetto al-Anfāl (in arabo: آية الأَنْفال), corrispondente al primo versetto della sura al-Anfal (Corano VIII), afferma che gli "anfāl" appartengono a Dio e al Profeta (S). Secondo l’Allama Tabatabai e l'ayatollah Makarem Shirazi, con il termine anfāl s’intende anche il bottino di guerra, mentre secondo Mulla Fathullah Kashani il bottino di guerra è l'unico esempio di anfāl.

Secondo la maggior parte degli esegeti sciiti, il versetto fu rivelato in risposta a una disputa tra i membri degli emigranti (al-muhajirun) e gli ausiliari (al-ansar) riguardo al bottino della Battaglia di Badr. I musulmani coinvolti nella disputa si rivolsero al Profeta (S) affinché mediasse tra di loro. Alcuni esegeti, come Mujahid ibn Jabr, ritenevano che questo versetto fosse stato abrogato dal versetto al-Khums (Corano 8:41). Tuttavia, molti esegeti respingono questa affermazione, poiché sostengono che non vi è alcun conflitto tra i due versetti.

Testo e traduzione

يَسْأَلُونَكَ عَنِ الْأَنفَالِ ۖ قُلِ الْأَنفَالُ لِلَّـهِ وَالرَّسُولِ ۖ فَاتَّقُوا اللَّـهَ وَأَصْلِحُوا ذَاتَ بَيْنِكُمْ ۖ وَأَطِيعُوا اللَّـهَ وَرَسُولَهُ إِن كُنتُم مُّؤْمِنِينَ


“Ti chiedono [o Muhammad] degli anfāl. Di’: «Gli anfāl appartengono ad Allah e al Messaggero». Temete dunque Allah, mettete pace fra di voi, e ubbidite ad Allah e al Suo Messaggero, se siete credenti”.



(Sacro Corano 8:1)


Il concetto di anfal

L’Allama Tabatabai e l'ayatollah Makarem Shirazi sostengono che il termine anfāl indica tutte le proprietà che non hanno altri proprietari oltre a Dio. Pertanto, la proprietà di tali beni spetta a Dio, al Profeta (S) e ai suoi successori. [1] In questo contesto, il bottino di guerra rientra tra gli anfāl. [2]

Mulla Fathullah Kashani, un esegeta sciita del X/XVI secolo, sosteneva che anfāl si riferisce specificamente al bottino di guerra, ed esso rappresenta un dono di Dio per i combattenti musulmani che partecipano alle battaglie. [3] La parola araba anfāl è il plurale di nafl, che significa "aggiunta" o "superfluo". Ecco perché le preghiere supererogatorie sono chiamate nafila (vocabolo che proviene dalla stessa radice), ossia costituiscono un'aggiunta alle preghiere obbligatorie. [4].

Occasione della rivelazione

Per quanto riguarda l'occasione della rivelazione del versetto al-Anfāl, nelle esegesi sciite si riscontrano due principali interpretazioni:

1. La maggior parte delle fonti (come Majma' al-Bayan, al-Tibyan, Manhaj al-Sadiqin e Tafsir Nemune) sostiene che il versetto fu rivelato quando tra alcuni musulmani scoppiò una disputa sul bottino della Battaglia di Badr. [5]

2. Alcune fonti, tra cui Majma' al-Bayan e al-Tibyan, riportano che il versetto fu rivelato anche in relazione alla riluttanza di alcuni degli emigranti (muhajirun) a pagare il khums. [6]

Abrogazione

Si narra che alcuni sapienti, tra cui Mujahid (21-641-2/104-722-3), un esegeta sunnita e discepolo di Ibn Abbas, e Abu Ali al-Juba'i (235-849-50/303-915-6), un teologo mu'tazilita, credessero che il versetto al-Anfāl fosse stato abrogato dal versetto al-Khums (Corano 8:41). [7] Tuttavia, la maggior parte dei sapienti, sia sciiti che sunniti, non accetta questa visione e sostiene che il versetto al-Anfāl non è stato abrogato. [8]

Ad esempio, al-Shaykh al-Tusi affermava che non esistono prove attendibili a sostegno dell’abrogazione di questo versetto. Inoltre, egli osservava che non c’è discordanza tra i significati dei due versetti, quindi non sussisterebbe alcun motivo per un'eventuale abrogazione. [9] Anche Fadl ibn al-Hasan al-Tabrisi, Makarem Shirazi e l'Allama Tabatabai sottolineano che non c'è conflitto tra i due versetti. [10] L’Allama Tabatabai affermava che il versetto al-Khums (Corano 8:41) chiarisce il significato del versetto al-Anfāl. Mentre quest’ultimo versetto stabilisce che gli anfāl (compreso il bottino di guerra) appartengono a Dio e al Suo Messaggero, il versetto al-Khums specifica che i musulmani possono usare quattro quinti del bottino, e il restante quinto deve essere destinato a Dio e al Suo Messaggero. [11] Alla luce di questa interpretazione, non esiste alcuna contraddizione tra i due versetti e, quindi, l’abrogazione del versetto in esame non era necessaria. [12]

Footnote

  1. Ṭabāṭabā'ī, al-Mīzān, vol. 9, p. 6; Makārim Shīrāzī, Tafsīr-i nimūnah, vol. 7, p. 81.
  2. Ṭabāṭabā'ī, al-Mīzān, vol. 9, p. 6; Makārim Shīrāzī, Tafsīr-i nimūnah, vol. 7, p. 81.
  3. Kāshānī, Manhaj al-ṣādiqīn, vol. 4, p. 167.
  4. Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 73; Ṭabāṭabā'ī, al-Mīzān, vol. 9, p. 5; Makārim Shīrāzī, Tafsīr-i nimūnah, vol. 7, p. 81.
  5. Ṭabrisī, Majma' al-bayān, vol. 4, p. 796; Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 72; Kāshānī, Manhaj al-ṣādiqīn, vol. 4, p. 167; Makārim Shīrāzī, Tafsīr-i nimūnah, vol. 7, p. 80.
  6. Ṭabrisī, Majma' al-bayān, vol. 4, p. 797; Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 72.
  7. Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 73-74.
  8. Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 74.
  9. Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 74.
  10. Ṭabrisī, Majma' al-bayān, vol. 4, p. 798; Ṭūsī, al-Tibyān, vol. 5, p. 73-74; Makārim Shīrāzī, Tafsīr-i nimūnah, vol. 7, p. 81-82; Ṭabāṭabā'ī, al-Mīzān, vol. 9, p. 9-10.
  11. Ṭabāṭabā'ī, al-Mīzān, vol. 9, p. 9-10.
  12. Ṭabāṭabā'ī, al-Mīzān, vol. 9, p. 9-10.

Riferimenti

  • Kāshānī, Mullā Fatḥ Allāh. Manhaj al-ṣādiqīn fī ilzām al-mukhālifīn. Tehran: Kitābfurūshī-yi Muḥammad Ḥasan 'Ilmī, 1336 Sh.
  • Makārim Shīrāzī, Nāṣir. Tafsīr-i nimūnah. Tehran: Dār al-Kutub al-Islāmīyya, 1374 Sh.
  • Ṭabāṭabā'ī, Sayyid Muḥammad Ḥusayn al-. Al-Mīzān fī tafsīr al-Qur'ān. Qom: Intishārāt-i Islāmī-yi Jāmi'at al-Mudarrisīn, 1417 AH
  • Ṭabrisī, Faḍl b. al-Ḥasan al-. Majma' al-bayān fī tafsīr al-Qur'ān. Tehran: Naṣir Khusruw, 1372 Sh.
  • Ṭūsī, Muḥammad b. al-Ḥasan al-. Al-Tibyān fī tafsīr al-Qur'ān. Edited by Aḥmad Ḥabīb al-'Āmilī. Beirut: Dār Iḥyā' al-Turāth al-'Arabī, [n.d].